20 agosto // Dopo un lungo viaggio attraverso le montagne, con il sole che brucia attraverso il finestrino, la città arriva tutta insieme, senza alcun preavviso. Si attraversa la periferia, fatta di officine e sfasciacarrozze, e traffico: un nugolo di piccoli taxi, combi e pullman. Dopo diversi giorni di paesini è un po’ traumatico. Arequipa è la seconda città del Perù; ha la stessa popolazione di Torino, ma è immensamente più estesa: dal momento che si trova in una zona molto sismica, le case sono alte due o tre piani al massimo. Il centro è costruito in sillar bianco, la pietra vulcanica della zona, ed è molto suggestivo. Per questo la chiamano la ciudad blanca.
21 agosto // Al mattino fa già caldo, qui non serve essere vestiti a cipolla. Facciamo un giro a piedi del centro, grazie a un tour guidato offerto dall’ufficio turistico e dall’università: la cattedrale, il museo della mummia Juanita, la casa del Moral, il ponte sul Chili, i vulcani intorno, i tambo, il mercato, il caffè tipico, le chiese, le pietre usate per la costruzione, gli strumenti musicali, i simboli religiosi sparsi. I tambo sono case popolari chiuse attorno a cortili puliti e ordinati; case basse in pietra bianca affittate per cifre irrisorie. Al mercato, ci troviamo sotto a una copertura in ferro progettata da Gustave Eiffel in persona, e in mezzo a un brulicare fittissimo di persone. Il chiostro della chiesa dei gesuiti, invece, è stato trasformato in un piccolo centro commerciale di lusso per turisti, purtroppo.
Pranziamo in un locale tipico, una cevicheria, dove appunto si mangia il ceviche: pesce marinato piccante, con aggiunta di ricci di mare, accompagnato da patate dolci che stemperano un po’ il fuoco che arde in gola dopo pochi minuti.
Nel pomeriggio prendiamo un bus che fa il giro delle campiñas, i sobborghi che Arequipa ha inglobato, ma che hanno mantenuto le caratteristiche originali. Alcuni, come Yanahuara, sono diventati quartieri ricchi, dove le casettine sono state sostituite da villette moderne, protette da filo elettrificato e telecamere. Qui c’è un mirador dal quale si può osservare Arequipa in tutta la sua estensione fin sulle pendici del vulcano El Misti, e un piccolo canyon terrazzato e verdeggiante. I quartieri a sud, invece, sono molto più poveri: casette semplici e incompiute, cresciute in grumi un po’ informi. Insomma, questo giro non è chissà quanto entusiasmante, ma offre una panoramica su realtà diverse che sicuramente sfuggono a chi si ferma solo in centro.